Sto sforando il quarto di secolo ormai, tra meno di un mese
avrò 26 anni. Dico ormai perché dai 19, età in cui ti diplomi, scegli
l’università (il più delle volte un corso di studio ingenuamente sbagliato) e
fingi di essere adulto, gli anni volano via come un pappagallo a cui si apre la
gabbia e dal fingerlo diventa necessario esserlo..adulto intendo. Il fatto che
tu sia single comincia a diventare un problema (più per gli altri che per te in
verità), le difficoltà incontrate nello studio si tramutano velocemente in una
somma di anni fuori corso e devi perdere l’anonimato e occupare un posto da
qualche parte. E allora ti pare di avere l’esperienza necessaria per poter
sapere due o tre cose in più di quella che eri qualche primavera fa.
Io personalmente ho imparato che non c’è un tempo per
niente: perché puoi sbagliare a valutare le persone a 16 come a 26 anni anche
se l’impatto è più forte al pluriventesimo compleanno; puoi errare anche nella
valutazione di te stesso, perché ti svegli un giorno e ti rendi conto di non
pensarla più come una volta, di non divertirti con la stessa facilità
adolescenziale e di non volere cosa ti hanno detto di volere, o peggio,
accorgersi di voler proprio quello invece.
Che ci si divide tra chi beve tutto d’un fiato e chi
distilla goccia dopo goccia quello che gli capita o chi gli capita, aspettando,
rimandando fino a perdere le occasioni buone.
Ho capito che per
comprendere la propria vita bisogna guardarla da distante come uno spettatore
davanti alla tv; non con gli occhi di un amico o di un genitore bensì con dei
globi oculari super partes, di persona che guarda e decide se una storia gli
piace. Non sono amante dei consigli se non richiesti, ciò che va bene per un
amico non è necessariamente ciò che rende felice te. Perché non ha senso
parlare dei propri sentimenti con chi alla vostra ottimistica descrizione di
qualcuno a cui tenete, vi risponde dandovi uno schiaffo morale e pensando di
avere tutti i tasselli per la comprensione di quel terzo. Ho capito di riconoscere tal atteggiamento più
come egoismo che interesse, che è preferibile esporsi ad altri pochi e
selezionati esseri umani, perché dover raccontare un fallimento per colpa
dell’aver raccontato il precedente successo
o la speranza di esso che nutrivate prima fa male … e tanto.
E ho capito poi che nella vita è meglio essere un po’
stupidi per essere molto più inconsapevoli delle situazioni: si riderà a
qualche battuta in meno ma si soffrirà anche meno.
Che può esserci tanta più verità in un film di fantascienza
che in una romantica commedia.
Che capitano periodi nei quali pare di trovarsi in un limbo
di oscillatorio dubbio tra la felicità e l’amarezza, un giorno si scivola più
da una parte, quello successivo si cade in quella opposta. E allora resta solo
che accettarlo e passare sotto ad un legno mantenendo il più possibile la
dignità, ascoltando uno stupido motivetto e urlandoci sopra “Limbo!”.
Zevianna
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