Sto prendendo un caffè con Tizia, la quale tra un sorso e l’altro
mi racconta di quanto il tatuaggio tribale che ha fatto ad altezza coccige le
piaccia, sia bello, e rappresentativo della sua personalità e di come in
qualche emblematico modo la faccia sentire più a proprio agio con il suo corpo. Mi piace
Tizia perché a dispetto dei giudizi
altrui e a difesa di un opinabile gusto estetico (data la
localizzazione del suo tattoo e il soggetto scelto) non si vergogna nello
sbandierare fieramente a tutti di avere un tatuaggio praticamente sul culo e
anzi non indugia nel farne un vanto.
Sempronio, invece, che scorgo mentre si accende una
sigaretta appena fuori dalla porta del tabacchino ha ferree opinioni politiche e correlati propositi “morali” che lo guidano in tutte le decisioni della sua
vita ed ha incorporato sulla spalla il simbolo di tali prese di posizione. Poco
condivido la sua scelta: ritengo pericoloso utilizzare la propria fisicità per
farne il manifesto di ideali a volte espressione solo di frettolosi giudizi e ingenua giovinezza. Perché l’idea è
proprio qualcosa che si esterna a voce, che
prende vita e forme attraverso la parola e che si plasma ascoltando le idee contrarie con vicendevole influenza; non si rappresenta appiccicandosela con
finalità intimidatoria su un tornito bicipite per ammutolire i dissenzienti ed
evitare il confronto.
Al bancone del bar
arrivano presto anche Caio e Stico, come sempre in coppia. Il primo porta
sparsi per il corpo tatuaggi simbolici delle sue passioni musicali e
cinematografiche; ed ecco, la sua idea di tatuarsi il simbolo di “Arancia
meccanica” piuttosto che il baffo di Freddie Mercury invece mi colpisce subito
piacevolmente: oltre a condividerne i gusti, ritengo che le passioni siano una parte
di noi stessi che non cambia con il tirare del vento ed il susseguirsi delle
mode, andare fieri di ciò che appassiona è buona parte del processo di accettazione
personale che tutti dovremmo affrontare e vincere.
Il suo compare, Stico, ha deciso invece di scriversi il nome
della fidanzata sul polso. Questa la trovo al contrario una scelta molto
infantile; che non ha giustificazione se non sul corpo di una persona
affetta da amnesia cronica. Le relazioni sono mutevoli, non restano incatenate
ad una parola d’inchiostro sotto pelle e se la dolce metà ha bisogno di
conferme sulla capacità del moroso di scrivere il suo nome credo ci sia tant’altro
di cui preoccuparsi. Sono sicura che se mai avranno figli si scriveranno anche
il nome del primogenito vicino … e veramente mi chiedo, ma ne avete bisogno?
Perché io non penso vorrei più bene ai miei vedendo il mio nome marchiato dietro
al loro orecchio.
Io, al contrario, non posso raccontare loro delle mie
esperienze con l’ago del tatuatore perché non mi sono mai impressa sul corpo
nulla. Ai tempi del liceo ne avevo l’intenzione, volevo tatuarmi una stupida
scenetta stilizzata (coinvolgente un castoro, vi basti sapere solo questo)
appena sotto l’ascella. La voglia di allora è però scemata abbastanza
velocemente e chissà … forse un giorno troverò un altro soggetto più
convincente che non mi farà desistere dal volerlo sempre sulla mia pelle. Ma per
ora mi godo la libertà di non essere vincolata a nulla; perché a volte sento associare
il tatuaggio -dalle parole di chi ne ha- al termine “libertà” appunto e mi
chiedo cosa dovrebbero mai avere in comune? Qualcosa che indelebilmente non ci
lascia mai, che ogni giorno si riflette sullo specchio del bagno, che ci fa
spiegare di anno in anno ai nuovi amici cosa simboleggia è proprio l’esatto
contrario di ciò che è libero. Una cosa che per essere fatta abbisogna di tempo
su un lettino passato a stringere i denti e che per finire necessita anche di
un buon esborso di soldi è più assimilabile alla tortura direi io. Una tormentosa
perdita di tempo associata ad una inevitabile perdita di denaro, denaro
guadagnato che mi avrebbe potuto far pagare l’affitto; un’altra forma di
costrizione, sì, ma necessaria. Oltretutto alla fine di questo post,
comincio a provare estremo disappunto per una parola come “tatuaggio” che non
ha alcun tipo di valido sinonimo nella lingua italiana e che mi ha costretto a non
esercitare un minimo di capacità creativa per parlarne.
Zevianna
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